“Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna”. Parole storiche della Lettera alle donne (1988), di Giovanni Paolo II, purtroppo smentite da persistenti ingiustizie e vergognose violenze contro la dignità delle donne.
Va bene una mimosa come simbolo, a parziale risarcimento, e vanno ancor meglio gli sforzi perché la donna possa finalmente trovare i suoi tempi e gli spazi più convenienti per la sua crescita e la crescita della società, a cominciare dalla cellula che è la famiglia.
“Date alle donne occasioni adeguate ed esse possono far di tutto”, scriveva Oscar Wilde un secolo fa. Esse sono uno scrigno prezioso, di cui la nostra società non trova ancora la chiave per trarne fuori tutta la ricchezza. Eppure, che mondo sarebbe il nostro senza di loro? E invece, che mondo potrebbe essere quello in cui le donne avessero occasioni adeguate per esprimersi. Quanto all’Italia, le donne sono in retromarcia e la loro festa colorita di stucchevoli incensate, stride con la realtà: nell’occupazione restano agli ultimi posti in Europa e in politica sono invisibili.
L’8 marzo è Giornata Internazionale della Donna. Una di quelle che, diversamente da altre, dovute a gruppi di potere politico o economico, ha una storia non circoscritta a un singolo luogo ed episodio. S fa risalire la ricorrenza al tragico evento del marzo 1911, quando un incendio alla Shirtwaist di New York uccise 146 donne: giovanissime operaie, la più parte italiane ed ebree. Il fatto assurse a simbolo della disumana condizione delle donne nelle fabbriche.
Fu l’occasione per una presa di coscienza globale delle donne di tutti i Paesi. Molti studiosi ritengono, tuttavia, che non è solo questa l’origine della festa, perché già nel 1910 a Copenaghen venne celebrata per la prima volta. Sta di fatto che dopo la tragedia di New York vi fu la riforma della legislazione del lavoro negli Stati Uniti e il riconoscimento del diritto di voto per le donne in diversi Paesi.