O caro e venerato Papa Giovanni! Affettuoso saluto dedicato a Giovanni XXIII, quattro mesi dopo la sua morte pentecostale, dal suo Successore nel discorso introduttivo della seconda sessione del Concilio, il 29 settembre 1963.
Paolo VI troncava incertezze e timidezze serpeggianti qua e là e con la continuazione dell’assise ecumenica rispondeva all’interrogativo fatto echeggiare sotto le volte del Duomo di Milano: Potremo noi lasciare strade così magistralmente tracciate, anche per l’avvenire, da Papa Giovanni? E’ da credere che no. E sarà questa fedeltà ai canoni del suo pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che ce lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino” (7 giugno 1963). O caro e venerato Papa Giovanni. E’ molto più di commosso e amplissimo elogio. E’ il riconoscimento dell’aver egli agito solo mosso dallo Spirito Santo, di aver additato al mondo le vie della pace e di aver proposto alla Chiesa l’aggiornamento sul solco della grande tradizione. Non era certo sfuggita a Paolo VI la nota diaristica di Francois Mauriac, datata “sabato 15 giugno 1963”:
“Ieri sera nel corso di una emissione dedicata a Giovanni XXIII abbiamo visto apparire sul piccolo schermo l’avversario: colui che agisce in segreto nella chiesa. Nei giorni scorsi nascose la sua faccia, perché egli sa che una corrente così impetuosa, come questa che si è manifestata a Pentecoste 1963, non torna indietro. A
lui preme scrutare a monte il posto della sponda dove agire sulla corrente, regolarla arginarla e, alla fine, deviarla. Tutte le vecchie canalizzazioni sono là ancora pronte a servire di nuovo. Questo avversario, subito smascherato, aveva preso i lineamenti di un deputato italiano (di cui non ho afferrato il nome). Egli non ha saputo trattenersi dal proclamare in faccia al mondo ciò che molti uomini, in questo momento, persino in seno alla chiesa e al sacro collegio, attendono e sperano dal prossimo pontificato: che esso reagisca, con prudenza ma con forza, contro quello appena interrotto: che su un punto essenziale: l’apertura all’Est, il nuovo papa si sbarazzi, prima che sia troppo tardi, di ciò che Giovanni XXIII aveva avviato: Per la prima volta, a quanto ne so, un cristiano a osato denunciare pubblicamente l’ingenuità del pontefice defunto. Con che aria di superiorità!
Osservavo quel duro volto chiuso, alla cui superficie non affiorava alcuna luce interiore. In Italia, come in tutte le democrazie d’occidente, qualche migliaio di voti perduti alle elezioni, di cui il partito comunista ha beneficiato, pesa assai agli occhi dei professionisti della politica, molto più dell’immensa vittoria riportata dalla chiesa su un campo invisibile dove si gioca la salvezza del mondo” (F. Maurlac, Le Nouveau Bloc-notes. 1961-1964. Flammarion 1968, p. 296).
Questa nota pesa nel mio animo da 42 anni. Ne parlai con Giovanni Paolo II nell’agosto 1979, ricevendone illuminante commento: “Non importa. Papa Giovanni era un profeta. I profeti pagano. Nonostante tutto ha avuto ragione, ed ha segnato una strada”. Dirà il giorno della beatificazione il 3 settembre 2000: “Inaugurò pur tra non poche difficoltà una stagione di speranza per i cristiani e per l’umanità. Questo reagire a questo sbarazzarsi, richiesti dal deputato italiano, si riferiva a che cosa? E’ chiaro: al Concilio e alla parte quinta di Pacem in terris. L’aver Papa Paolo onorato con autorità apostolica il suo Predecessore esaltandone l’animo candido e fedele, gli vale la gratitudine della chiesa e degli uomini e donne di buon volere.