Dio si serve del nostro volto per mostrarsi. A noi, che siamo sua immagine, ha affidato il compito di renderlo visibile per le strade del mondo. Il Papa nella sua prima enciclica Deus Caritas est afferma - riportando una frase di sant’Agostino - “ che chi vede la carità, vive la Trinità”. Come a dire che la carità non è altro che la concretezza visibile dell’Amore di Dio; anzi, dell’Amore che è Dio.
Vivendo nella carità si vede Dio: Dio è carità.
Benedetto XVI parla di “occhi del cuore”, di un “cuore che vede”. Il cuore ha una sua vista; e la capacità visiva di un cuore è determinata dal suo essere ricolmo di amore. Più un cuore ama, Più vede; più il cuore umano assomiglia al cuore divino, più è in grado di aprirsi agli altri per vedere le mille povertà che stanno attorno. Oltre agli occhi, la carità investe il tatto.
Gesù ha toccato le miserie umane nella vita terrena. Le ha trasformate in vita. Il tatto di Dio trasforma sempre ciò che tocca: il lebbroso toccato è risanato, il morto è risuscitato, il cieco comincia a vedere e il sordo ad udire. Tocca e si lascia toccare. Il risultato è lo stesso: l’emorroissa dopo aver toccato la veste di Gesù, si ritrova guarita. Ma prima ancora, Gesù ha toccato la nostra natura umana, rivestendosi della nostra carne. Chi vede e pratica la carità, non solo vede Dio, ma lo rende tangibile: le mani immerse nella carità offrono il tatto di Dio; le mani della carità sono le stesse mani di Dio, mani divine che si servono delle mani umane.