“Però rispondimi da uomo, non da prete”. Chi m’interpellava così era al massimo della prostrazione per la morte di un caro giovane amico, il quarto in pochi mesi! “Ma io sono uno, sai, uno solo…” mi è venuto istintivo rispondere, alludendo al fatto che mi sento insieme uomo, cristiano e prete, senza cesure e saparatezze: quando parlo con gli amici, predico dall’ambone o sto al tavolo di lavoro. Al di là di limiti e sbagli che non voglio certo beatificare, un traguardo importante perseguito - grazie anche a numerosi stimoli formativi della mia chiesa diocesana - è
l’unificazione della persona, a partire dal dono della vita, del battesimo, della vocazione al ministero. “Sono uno solo”: non a fette, no a part-time. Il fondamento di tutto questo lo trovo guardando a Gesù, che in sé unifica - per un “miracolo” grande, un mistero sorprendente - la vita del Figlio di Dio e la carne umana. Intendendo la realtà della nostra concretezza, fatta anche di debolezza e quotidianità “normale”: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” insegna la Gaudium et Spes in un passo semplice e meraviglioso. Gesù, l’uomo nuovo, è il prototipo del cristiano che cresce affidandosi al Padre, cercando la sua volontà, amando i fratelli, donandosi totalmente per il Regno.
Guardando al Natale ormai in vista chiediamo al Padre di prendere sul serio l’incarnazione del Figlio, guardando - al di là della “magia” della festa - proprio alla sua carne reale, alla vita quotidiana fatta di relazioni, lavoro, progetti… E domandiamo il dono di vivere e crescere anche noi il più possibile “unificati”, in modo tale che la vita si possa effettivamente richiamare alla fede, senza sconti né zone franche: cristiani nella gioia e nel dolore, in chiesa e al lavoro, in famiglia e nel divertimento…
Lo sguardo materno di Maria ci accompagni e incoraggi, vigili su di noi e guidi il nostro cammino verso un’altra Betlemme di festa e di pace.
C. C.