É quanto recita un proverbio italiano. Lo condivido in pieno. Anzi, direi che la strada maestra per svuotare le carceri consiste nell’avere scuole dove si insegni ai giovani l’arte del benvivere, dove si impartisca la buona educazione, dove la cultura non sia solo erudizione inutile e spocchiosa, ma sapere legato all’esperienza e diretto all’inclusione nel mondo del lavoro. Una scuola nozionistica che non impartisca insegnamenti è semplicemente inutile, ragion per cui non posso che essere d’accordo con chi, pensando alle università italiane, sostiene che sfornino inutili e costosi corsi ad uso e consumo dei docenti (e del familismo di casta) piuttosto che degli studenti. Se in molte università si promuove la sistemazione di figli e parenti invece che la bontà degli studi, è bene che si attacchino con estremo rigore privilegi e sprechi, accompagnando garbatamente alla porta baroni e burocrati che si sono pasciuti col denaro pubblico. Costoro fanno parte, insieme alla vasta schiera di capi, capetti e dirigenti superflui, di quella che Leonardo Sciascia definì la “classe digerente”, autentico scandalo italiano, amplificato dall’anomalia per cui nessuno è mai responsabile fino in fondo delle sue malefatte ed è chiamato a rifondere il maltolto. Una nazione che non coltivi il culto della responsabilità è facilmente preda di bande di predatori, pubbliche e private, e qualcosa dovrebbe suggerire la circostanza, non fortuita per l’appunto, che solo in Italia, che conta circa 55 milioni di abitanti, allignino ben tre organizzazioni malavitose (mafia, camorra, ndrangheta) che controllano intere aree ed attività economiche e finanziarie. L’unica attività che non interessa ai signori del malaffare è la scuola, perché essa è fucina di pensiero, di cultura, di saperi, di legalità. Abilita al rispetto di sé e dell’altro, non all’uso delle armi. La scuola di ogni ordine e grado è un argine al dilagare della violenza.
Orbene, le domande da porsi in questo bailamme italiano sono le seguenti: la riforma Gelmini migliora la scuola o la deprime? È una riforma o una storpiatura dell’esistente? Il maestro unico è una conquista o un tuffo nel passato? Sarebbe
deprecabile se alla base del decreto Gelmini ci fosse soltanto l’obiettivo di tagliare risorse e quindi posti di lavoro, creando una nuova categoria di disoccupati professionalizzati. Gli sprechi ci sono, sono tanti, e probabilmente è uno spreco anche corrispondere emolumenti da favola ad una moltitudine di politici, consiglieri, consulenti e portaborse (il ministro Brunetta dovrebbe installare i tornelli anche all’ingresso di Montecitorio e Palazzo Madama). Un vero disegno riformatore non tiene conto solo degli aspetti economici, che pure sono importanti, ma risponde alla domanda di cultura e di nuove professionalità che sale dal Paese, dalle sue articolazioni economiche e culturali. In un contesto globalizzato quale è quello in cui viviamo, i ritocchi di facciata servono a poco, ciò che conta è la sostanza della proposta e le sue concrete prospettive. Una scuola ed una università all’altezza dei tempi postulano una seria razionalizzazione delle risorse, l’eliminazione delle caste e che si ritorni a studiare sul serio. Quando avevo qualche anno in meno anch’io ho scioperato. Mi ricordo che mettemmo a subbuglio l’istituto tecnico per ragionieri di Corato per un mese intero. Le nostre richieste erano sacrosante, e forse gli studenti che oggi scioperano sono anch’essi convinti di scioperare per una giusta causa. Sono in buona fede? Chissà! Il dubbio sorge spontaneo quando ci si accorge che una parte politica si appropria o sponsorizza le manifestazioni studentesche. I giovani forse non se ne avvedono, ma la protesta ed il disagio possono essere facilmente strumentalizzati per fini che niente hanno a che vedere con la scuola. Del resto, rammento spesso a me stesso, memore dei recenti
raduni romani, che chi oggi si oppone a tutto e sostiene che gli italiani sono migliori di chi li governa, ieri era al governo del Paese (non in Papuasia) e porta la responsabilità di essere rimasto a guardare. Anche ieri gli italiani erano migliori della classe politica che li governava. Per concludere con un certo rammarico che, in qualche misura, lo saranno anche in futuro, sempre.
Salvatore Bernocco