Un regno diviso in se stesso è destinato a perire. È un’antica verità, quasi lapalissiana, che potremmo modificare in questi termini, più attuali: una nazione divisa in se stessa, frantumata in mille pezzi, in mille istanze diverse e spesso inconciliabili, è destinata ad indebolirsi.
Oppure, celiando un po’ con i termini,un Paese sfinito è un Paese finito.
All’origine di questo infiacchimento del tessuto sociale c’è una evidente crisi morale. Mons. Bagnasco ha parlato di tendenze disgregatrici: mafie, incendi boschivi, divismo e divertimento nichilista, scarsa attenzione ai problemi delle giovani coppie (il problema della casa), l’assalto all’istituto familiare, preesistente al Cristianesimo, minano le basi della civile convivenza, attentano a quel complesso di valori morali che costituiscono l’ossatura o la spina dorsale di un popolo. L’elenco stilato dal presidente della Cei sarebbe stato oltremodo perfetto se ci fosse stata anche una critica esplicita a certa politica sempre più autoreferenziale, avvinghiata ai suoi privilegi mentre molta parte del Paese soffre, molte famiglie sbarcano il lunario (lo stesso Draghi, il Governatore della Banca d’Italia, ha evidenziato che gli stipendi dei lavoratori italiani sono i più bassi d’Europa, mentre, aggiungo io, le indennità dei nostri parlamentari sono le più alte!), molti giovani sono costretti ad arrangiarsi senza grandi prospettive (di qui il lasciarsi andare ad una sorta di scanzonato nichilismo fatto di discoteche e sballo). L’antipolitica grilliana è un fenomeno che ha radici nella disgregazione del Paese dovuta per buona parte alla arroganza ed alla indifferenza di una classe politica che, fattasi casta, pare abbia quale obiettivo principale la perpetuazione di se stessa piuttosto che il bene comune. Un esempio eclatante è dato dal sistema elettorale. I partiti preparano le liste, ci mettono chi vogliono e fanno eleggere chi vogliono, secondo una preferenza partitica e quindi sottratta al giudizio dell’elettore, che dovrebbe essere sovrano. La cosiddetta Prima Repubblica, almeno sotto questo profilo, era molto più democratica dell’attuale, il cittadino aveva la possibilità di esprimere la propria preferenza. Mentre nuovi (sic!) partiti nascono già divisi in se stessi e all’insegna del cinema e delle chiacchiere, scimmiottando l’America e culture che non ci appartengono, il Paese va alla deriva, le facce sono sempre le stesse, chi sta in politica da trent’anni e passa assurge ad uomo nuovo, gli ideali cedono il passo alla scenografia e a qualche copione da recitare a soggetto. Sulle finzioni e sulle belle parole non si costruisce nulla di solido, non c’è alcun dubbio.
Manca la sostanza. È l’universo valoriale che deve tornare al centro della vita individuale e comunitaria; sono i valori umani, l’onestà, il senso del dovere ed il sacrificio, la responsabilità verso se stessi e gli altri, l’amore per il proprio paese, lo studio, a dover tornare in auge, pena il dissolvimento del vincolo sociale, quelle spinte e controspinte che alla lunga lacereranno il tessuto comune. Fra i privilegi delle varie caste e le piccole furberie del popolo si situa quel territorio di nessuno che diventa terreno di coltura delle varie mafie, tanto più aggressive quanto più l’esempio che giunge dall’alto non è edificante.
I valori non possono essere inculcati con la forza, ma con l’esempio e il processo educativo. Primi responsabili sono quindi le famiglie, i padri e le madri, che spesse volte abdicano alla loro funzione educativa e morale per ridursi a svolgere quella “biologica” di genitori, cioè di datori di cibo e di cose materiali. Poi viene in rilievo la funzione della scuola, che, come rifletteva il Servo di Dio Giovanni Modugno di Bitonto, esimio pedagogo ed educatore, ha bisogno di “educatori colti” che abbiano preparazione pedagogica e non solo scientifica, perché quest’ultima “non basta per insegnare bene e tanto meno è, poi, sufficiente per formare il carattere dei giovani [...].” “Vivere è educarsi, ed educarsi è vivere”, così mi diceva Renato Dell’Andro riecheggiando la lezione del prof. Modugno. Una educazione permanente ai valori è quindi indispensabile per rimettere ordine nella vita personale e sociale. La Chiesa può fare molto in questo senso, purché non abdichi al suo ruolo di coscienza morale e conservi autorevolezza e credibilità, talvolta minata da episodi di singoli individui esecrabili e di estrema gravità. Chi ambisce ad insegnare e ad ammonire, ne sia degno in massimo grado.
Salvatore Bernocco