RAVE PARTY E SPIRITO SANTO

Drogarsi, stordirsi, ubriacarsi di alcol e di musica ad alto volume. Rischiare di morire per scelta consapevole, esaltare la morte quale via di fuga da un mondo “che fa schifo”, come sostengono molti giovani che prendono parte a questo nuovo delirio nichilista chiamato rave party, dove la vita è appesa ad un filo tenue che può spezzarsi in qualsiasi momento.
Sballarsi nei rave party usando anfetamine, droghe ed alcol è prassi normale per molti giovani sbandati. Anzi, se non ti sballi, non sei. In un servizio che i nostri telegiornali hanno dedicato ad un rave party tenutosi in Puglia, si vedevano ragazzi che come zombie si dimenavamo a pochi centimetri da enormi casse acustiche. Non più in sé, erano totalmente preda del demonio della droga, vittime consapevoli dell’alcol, carne da macello, anime predestinate a fine certa.
Uno spettacolo deprimente, la trasposizione in chiave moderna di un girone dantesco, con i dannati costretti a ballare senza sosta. Come l’uomo possa giungere ad un simile degrado è un mistero. Rientra nel mistero del male che serpeggia nelle società e nei nostri cuori. È il mistero della zizzania che contende suolo fertile al grano. Se si riflette sul fatto che il 95% delle banconote americane reca tracce di cocaina, che a Firenze si consuma più droga che a Londra (circa 500.000 dosi in 6 mesi) , che a Roma si contano tra i 25 e i 30 mila consumatori abituali di droga (ma il numero sale di dieci volte tanto se si sommano anche i consumatori occasionali), che a Bari il mercato della droga è in auge, è facile intendere le dimensioni di un fenomeno che fa rabbrividire e rispetto al quale pare si sia inermi.
Soltanto un tuffo rigeneratore nelle acque dello Spirito Santo può restituire forza, dignità e vita ad una umanità che sostituisce al Senso il sesso, che beve birra e si fa di droghe sin da tenera età, assaporando il gusto amaro del male. In filigrana si legge un desiderio inevaso di felicità, di gioia, che solo una ricca interiorità, una spiritualità feconda può soddisfare.
Il punto è: come far comprendere ai giovani che la speranza, l’amore, la gioia si acquistano in Dio e con Dio? Come far comprendere che chi confida in Dio riacquista la forza? Cosa fare in questo contesto segnato dal tormento e dal dolore, in cui, smentendo il detto comune, non la religione è l’oppio dei popoli, ma l’oppio è la nuova religione dei popoli? Non ho una risposta, forse non c’è una risposta facile. Di certo c’è che il disagio nasce nelle famiglie, sottoposte a forti tensioni endogene ed esogene, e dilaga nella società. Se la famiglia è malata, lo è anche la società. Se l’individuo è malato, lo è anche la coppia. Occorrerebbe quindi ripartire dalla persona umana, dalla sua ri-educazione, da un progetto di nuova evangelizzazione che sia nel contempo spirituale e culturale. Certi modelli di vita (rectius, di morte) vengono da idee filosofiche malate, subdolamente penetrate nella mente dell’uomo, in cui l’accento è posto sulla morte o l’inutilità o l’assenza di Dio. Poiché da idee marce non possono che nascere comportamenti marci, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: giovani dalle vite spezzate, figli e figlie di uomini e donne che hanno confinato Dio nei perimetri delle chiese o fra i miti e le favole.

Salvatore Bernocco