Pasqua come festa della liberazione dal peccato del mondo, come scatenamento di gioia per la prospettiva di un mondo interiore riscattato dall’assenza d’amore, dall’egoismo, quell’autentico cancro dello spirito che nelle sue molteplici forme e manifestazioni conduce sempre e comunque in un’unica direzione, ad un solo esito, la
morte dell’anima, la seconda morte, quella definitiva. Il peccato del mondo consiste nell’esiliare lo Spirito, che è amore, nel non rispondere con generosità e senso di responsabilità, con attenzione e delicatezza, alle sue sollecitazioni, che tutte tendono a realizzare già qui ed ora, dentro e fuori di noi, il regno di Dio. Dire di no allo Spirito è scegliere il suicidio, anche se non si è pienamente consapevoli degli effetti nefasti che l’egoismo produce nel medio e lungo termine. I suoi frutti si misurano nel corso degli anni, e quel senso di soddisfazione, quasi di autocompiacimento che il badare a se stessi provoca, con l’andare del tempo si converte in una sorta di avvilimento.
Sovrabbondando di se stessi, si chiudono gli occhi dell’anima alle necessità del nostro prossimo, che viene ignorato, escluso, a mala pena sopportato. Qualche domenica fa ero a Trani con una mia amica e mi sono recato a messa. Fuori del tempio c’era una ragazza macedone con bambina a seguito che chiedeva l’elemosina.
Noi la chiameremmo una “zingara”. Mi sono avvicinato a lei e abbiamo cominciato a parlare. L’impressione che ne ho tratto è che le abbia fatto più piacere scambiare quattro chiacchiere con noi che ricevere quei pochi spiccioli che le porgemmo. Il punto è che possiamo sentirci superiori agli altri, essere più educati di loro, meglio vestiti, guardarli dall’alto in basso, ma tutto ciò non ci autorizza a sentirci migliori di loro. Non lo siamo. Siamo semplicemente stati più fortunati, ed è finanche discutibile che tale fortuna sia per noi motivo di felicità. Probabilmente, malgrado tutto ciò che possediamo e che siamo, non siamo capaci di
provare gioia, felicità, attaccamento alla vita. La povertà paradossalmente rende tutto più semplice e puro. La povertà, non la miseria, che grida vendetta al cospetto di Dio. La povertà come scelta di vita, distacco dalle molte cose inutili del mondo, dal trentesimo abito, dal quarto paio di scarpe, dalla ventesima borsetta. Che cosa ci tiene tanto legati alle cose inutili? Nulla, solo l’errata convinzione che si è di più se si possiede di più, se si ha tanto. Lo Spirito soffoca sotto la massa di cose e pensieri inutili e vacui. Ci sovrasta un cielo plumbeo; non è dato scorgere l’orizzonte; la vastità spirituale si raggrinzisce a
causa dell’abbandono della logica dell’amore che spinge ad essere generosi in parole ed opere, aperti, sensibili, attenti come il buon Samaritano. Fare Pasqua significa
fare pace, porgere la mano, aprire il cuore, evitare di inasprire i rapporti, compiere uno sforzo per liberarsi dalle miserie che ci appesantiscono. Essere cristiani è sinonimo di libertà, e non c’è nessuno più libero di chi ha fatto una scelta di amore nel senso dello Spirito di Cristo.
Questa società che quasi osanna i guru dell’aborto e dell’eutanasia, che si inchina agli scettici ed agli agnostici, che si converte alle filosofie del niente assoluto per moda e conformismo, ha estrema necessità, attraverso un cammino penitenziale fatto di amore, riflessione e rinunce, di ritrovare il senso ultimo e vero della vita. La Pasqua è la festa della vita eterna. Sarebbe bello poterla festeggiare indossando gli abiti della gioia interiore, messi a nuovo dalla grazia di Dio e dalla sua misericordia, perché laddove abbondò il peccato, sovrabbondò il suo amore.
S.B.