Don Tonino



Da FERMENTO, ANNO XVIII - N.10, Ottobre 2004
"Alcune suggestioni in margine a un Convegno promosso dalla Pro Civitate Christiana di Assisi sulla figura del vescovo Don Tonino Bello" di V.P.


Non ho potuto sottrarmi a un appuntamento affatto celebrativo, ma ricco di approfondimenti dei contenuti operativi ed, inquietanti del messaggio di Don Tonino Bello, mirante al rapporto tra comunione e comunità secondo le direttive del Vaticano II, punti forza della sua azione pastorale, quasi un anelito di rinnovato francescanesimo.
Il programma del Convegno su Don Tonino, promosso dalia Pro Civitate Christiana di Assisi, articolalo in magistrali relazioni dei vescovi Martella, Semeraro, Bregantini e Bettazzi e dei professori Gualtiero, Sigismondi. Enrico Peyretti e Donalo Valli, conferma l'idea - come lo stesso professor Valli afferma - che tutto l'insegnamento di Don Tonino è basato sulle "parole", o meglio sulla costruzione di una architettura di linguaggio compatto, che si frantuma in una molteplicità di immagini forti, tese a comporre l'unità della "Parola".
Mi soffermo soltanto su alcune suggestioni provocate dall'interessante e profonda relazione del Vescovo Mons. Luigi Martella, successore sulla cattedra della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo,Terllzzi, che fu di Don Tonino Bello tra il 1982 e il 1993. Dovendo trattare della visione di Chiesa e i suoi rapporti con il mondo e dovendo delineare le linee fondamentali deli'ecclesiologia in Don Tonino Bello, Mons. Martella esordisce affermando che, "una caratteristica riconosciuta ed evidenziata da tutti e che non è molto difficile scorgere in Don Tonino Bello, è che egli non pensava le parole, ma le viveva" cosi pure della Chiesa: "egli non pensava, ma viveva la Chiesa, quella conosciuta e delineata dal Concilio Valicano II. Citando un'acuta osservazione, del vescovo Masseroni, il quale afferma che tra i rischi della comunità ecclesiale oggi, v'é quello della fuga dalla storia, Mons. Martella sostiene che in Don Tonino questo rischio non c'è mai stato perché egli mette in evidenza, nello stile e nelle opere, soprattutto la Chiesa della "Gaudium et Spes" - con il necessario aggancio di questa con la "Lumen Gentium" e il resto del magistero conciliare. Con la "Gaudium et Spes" - affermava il Vescovo Don Tonino Bello - la Chiesa planava dai cieli della sua disincantata grandezza e sceglieva di collocare definitivamente il suo domicilio sul cuore della terra.
La visione di Chiesa in Don Tonino, afferma Mons. Martella, può essere così formulata: La Chiesa: "indice puntato verso il Regno di Dio"; "relatività della Chiesa rispetto al mondo; la Chiesa serva del mondo; la Chiesa sentinella di speranza nel mondo.

Scrive Mons. Bello che "secondo la dottrina del Valicano II è da escludere ogni identificazione del Regno con la Chiesa, ma è anche da escludere ogni dissociazione tra le due realtà". E a proposito della Chiesa, quale sacramento universale di salvezza, Don Tonino preciserà che la salvezza non è un "debole desiderio divino" ma forza efficace che si rivolge ad ogni individuo e ha i suoi limili solo nella libera volontà che si oppone.
Opportunamente Mons. Martella nella sua relazione riporta il pensiero di Mons. Bello a riguardo: "la Chiesa oggi, deve sperimentare l'umiltà e la gioia di camminare insieme agli altri, sia pure di cultura diversa, di mentalità, di religione diversa, perché tutti abbiamo le stesse speranze. Soltanto che le nostre speranze, di noi credenti vanno più in là". Non manca poi Mons.Martella di riportare un altro passo in cui parlando dell'approdo finale della Chiesa, Don Tonino afferma che "la stazione di partenza della Chiesa è la Trinità come anche quella di arrivo, per cui Ecclesia de Trinitate e poi Ecclesia ad Trinitatem e aggiunge poi che lungo il percorso tra la stazione di partenza e la Chiesa c'è una tappa intermedia che si chiama Eucaristia... Il percorso, però non finisce qui, perché la Chiesa va verso la Trinità. Anche qui c'è una stazione intermedia che è il mondo. La Chiesa è per il mondo, la Chiesa è fatta per il mondo". La Chiesa deve agganciare il mondo per portarlo a Dio. Esodo e itineranza per una tensione missionaria caratterizzano poi la Chiesa che va verso il mondo. Memorabile il pronunciamento di Don Tonino al termine di una celebrazione dopo la riapertura al culto della mia parrocchia dopo il restauro: "Comunità del Redentore, esci dal tempio e va in piazza per ascoltare l'ordine del giorno che la gente ti detta". Una Chiesa estroversa quindi che - come annota Mons. Martella - per Don Tonino non significa Chiesa che si esaurisce nel "fare" fino a perdere la sua identità e la sua nutrice divina, ma è sempre la Chieda che annuncia e che vive la santità evangelica.
La Chiesa poi deve essere "segno" ma anche "strumento" perché il mondo deve guardare a Lei un pò come alla fotografia di quello che lui sarà un giorno. Di qui l'immagine di "Chiesa del grembiule" che incarna l'ideale evangelico che secondo Mons. Bello non totalizza indici altissimi di consenso. Ma è la strada del servizio che va ripresa, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta sulla vita dei poveri. E, servire è amare. Ai giovani della mia Comunità affermava in un incontro: "Chi non vive per servire, non serve per vivere ". Ricorda ancora Mons. Martella rhe tutta l'attività di Don Tonino non può essere vista sotto il segno dell'anticonformismo di tipo ideologico, tanto meno del disgusto per tutto ciò che non andava nel mondo. I cristiani devono vivere dentro "un già", in continua tensione verso un "non ancora" e sanno che il loro compito è quello di testimoniare un "già " che è presente, in questa storia. Siamo chiamali - scrive Don Tonino - ad essere annunciatori di speranza. Cantate la speranza, affermava alcuni giorni prima della morte, e se io non potrò immergermi nel vostro concerto, posso darvene ancora l'intonazione. Avere sussulti di speranza per raggiungere la città ove la gente soffre, muore, si dispera, raggiungere anche le strutture e le istituzioni pubbliche:
questa è la diaconia, il servizio più forte che dobbiamo dare alla città, al mondo che se ne è andato per i fatti suoi.
Concludendo, Mons. Martella, ha afferemato che quella di Don Tonino non e mai stata una testimonianza fuori dal tempo o al di sopra delle vicende, ma vissuta dentro, correndo il rischio delle scelte particolari. La sua preoccupazione fu di immettere nella parzialità del tempo le ragioni della compiutezza affinchè esse muovano la stessa verso il suo senso finale. E in ciò la Chiesa ha un ruolo insostituibile. Don Tonino ha convinto tanti e convince ancora che l'abito più adatto della Chiesa è quello più discreto, cioè "il grembiule del servizio" che la pone ai piedi del mondo. "Ricorda - mi disse insediandomi come primo parroco del suo episcopato - che questa non è una presa di possesso, ma di servizio". Don Tonino è stato un vero testimone.