Il Crocifisso dinanzi ai nostri occhi

VOGLIA DI ABBRACCIARLO
Se ti fermi a guardarlo per un minuto, il cuore si inquieta; sono troppe le domande che riaccende.
Fu amore o solo violenza? Fu vittoria o sconfitta? Un esempio o una pazzia?


Se due entrassero in classe, contendendosi un bastone che ora colpisce la testa di uno, ora il naso dell’altro e qualche volta va a vuoto contro il muro, mi sapreste dire chi se ne prende di più? Ve lo dico io: il bastone. Nella sua banalità, un’affermazione del genere descrive di più di qualche situazione conosciuta. Ad esempio, avete mai sentito mamma urlare a papà: «Possibile che non ti preoccupi mai di tuo figlio, devo pensarci sempre io a lui!». E l’altro pronto che risponde «Ma non ti vedi che gli sei sempre addosso, che non lo lasci respirare!». Ci si sente da favola a fare la parte di quello usato per accusare gli altri; vero? E che dire quando racconti alla tua migliore amica di quello che ti ha fatto arrabbiare, e questa parte in quarta imprecando contro di lui, descrivendolo come il peggior essere della terra, sprizzando rancore in ogni parola che dice (evidentemente tutte in tua difesa, meschina)e tu sbalordita la ascolti chiedendoti: «Ma che fa? Mi porta via la mia arrabbiatura?».
In situazioni del genere bisognerebbe cacciare un bell’urlo per rimettere le cose a
posto, che vi lascino in pace se hanno voglia di farsi male o di sputare la loro rabbia. Ma qualcuno, voce per gridare, non ne ha più.
Sto pensando al crocifisso, un oggetto che conosciamo tutti e che, dopo una sentenza del Tribunale europeo dei diritti umani, è diventato strumento di ruvide battaglie.
Qualcuno lo agitava accusando chi se ne serviva (secondo loro) per turbare la sensibilità dei non cristiani, altri lo brandivano per dire che la nostra cultura non si tocca. È stato uno spettacolo triste. Non trovate? Quel Gesù, che appeso a una croce non ha certo l’aria guerriera, né sembra nelle condizioni di ghermire armi o di tirare calci, ebbene, povero Cristo, si ritrova al centro di contese, issato sopra barricate che, ancora duemila anni fa provò in tutti i modi ad abbattere. Almeno due ragazzi su tre, dice un sondaggio, non hanno nulla in contrario che a far loro compagnia in classe ci sia anche il crocifisso. D’altra parte è sempre stato tranquillo, non ha mai protestato, neanche quando un cancellino volante gli ha lasciato il segno di due baffi bianchi. Forse quegli studenti non si accorgerebbero se la bidella, dopo aver spolverato, si dimenticasse di riappenderlo. Però, penso anche che non capirebbero tanta foga per volerlo tirare giù dal muro. Comunque lo guardi, fa tenerezza, e ci vuole tutta per dire che ti condiziona il cervello o che la sua sola presenza ci rende tutti migliori. Magari!
Eppure, qualcosa di vero c’è. Se ti fermi a guardarlo per un minuto, il cuore si inquieta; sono troppe le domande che riaccende. Fu amore o solo violenza? Fu vittoria o sconfitta? Un esempio o una pazzia? Accadde per scelta o fu la sfortuna di imbattersi in giuda e Pilato? Parla di luce o dipinge le tenebre? Sa di morte o profuma di vita? Se riesci a far tacere il chiasso di quanti stanno ancora a litigare su di lui, se lasci perdere pregiudizi e discorsi ammuffiti, forse lo senti.
Sì, senti quel silenzio, il tacere di chi non ha nulla da chiederti e nulla da dirti, perché a voi basta guardarvi per capirvi. Senti l’aria immobile, del suo starsene fermo, fedele dove tu vuoi che stia: senza invadere e senza mai abbandonarti. Senti i muscoli di quelle braccia che si tendono aperte sulla croce, assicurate, per giunte, al legno con dei chiodi perché tu non abbia a temere qualora ti venisse voglia di abbracciarlo, che riesca ad “imprigionarti” stringendoti a sé. Libertà e inquietudine camminano insieme e sono poche le cose appese ad un muro che hanno la forza di ricordarcelo.

Gabriele Pedrina