Il Maestro Michele Cantatore

5 Ottobre: Ricordando
il M ° Michele Cantatore
“mistica in canto”
nel 2° Anniversario della sua pia morte




A due anni dalla scomparsa del Maestro Michele Cantatore, è lecito e doveroso continuare a riflettere sul suo servizio pastorale offerto con dedizione e abnegazione alla comunità cristiana di Ruvo di Puglia, attraverso una particolare concezione della musica e del canto.
Vorrei parlare del suo pensiero musicale ribadendo un concetto più volte ripetuto: il Maestro è stato ciò che ha cantato, composto, suonato – cioè ha fuso magnificamente la musica alla vita, la vita all’arte. Questa caratteristica di fusione tra vita ed arte, tra vita e musica, e potremmo dire anche tra parola e suono, non è tuttavia una peculiarità del Maestro, o quanto meno non è nuova nella storia della musica. Infatti, immaginando per un attimo di spostarci in un’altra epoca, il Medioevo, è facile trovare una concezione di vita molto simile alla sua: nel Medioevo ( e in particolare il Medioevo inteso fino a circa il IX sec. d.C.), la musica e il suo insegnamento occuparono un ruolo centrale nella vita quotidiana, nell’educazione e soprattutto nel culto e nella pratica religiosa, nonché nella catechesi. Nel Medioevo il musicus, riprendendo un’idea del filosofo Platone, non era colui che sapeva cantare o suonare, ma colui che sapeva accordare, anche in senso musicale, l’arte che praticava alla vita che conduceva, in un connubio inscindibile. La musica non era una professione, ma era la vita stessa: mi pare che il Maestro abbia avuto, senza dubbio, questa particolare caratteristica.
Inoltre in questo periodo, la musica era “la prima fra le arti”, agli antipodi della odierna concezione, per cui nella vita moderna la musica, spesso anche quella sacra, e relegata nell’ambito del “divertimento”, del “consumo” e del “commercio”, cosa ben lontana dalla funzione didattica e ascetica che la musica ricoprì nel Medioevo in Occidente, e ancora oggi diffusamente in Oriente. In breve, il Maestro, forte della fusione tra musica e vita, di cui si parlava prima, scriveva con intento didatticocatechetico: la musica era da lui reputata strumento privilegiato per avvicinarsi a Dio, alla Verità trascendente, e mai per esporre il suo pensiero individuale e la sua bravura artistica. Questi principi ci permettono di comprendere la sua precisa scelta stilistica ed estetica; non ci fanno cadere nella tentazione di sottovalutare la reale portata del suo operato; inoltre ci offrono la possibilità di individuare alcuni “modelli” musicali a cui il Maestro si è evidentemente ispirato.
In primo luogo emerge l’adesione quasi passionale ed incondizionata al canto cristiano medievale(quello che comunemente ma impropriamente viene chiamato gregoriano) monodico, cioè ad una voce senza accompagnamento strumentale, fino alle prime forme di polifonia scritta databili tra X e XI sec., che caratterizzano il suo ormai inconfondibile “stile pre-polifonico” Poiché il Maestro Cantatore è stato in primis un profondo studioso e conoscitore delle tecniche compositive e della prassi esecutiva del canto cristiano, egli ha fatto suo questo splendido repertorio, attingendo ad esso come ad una vera fonte di ispirazione prima di tutto spirituale e poi musicale. Secondo il pensiero dei Padri della Chiesa, e in particolare di Agostino, il canto dei primi cristiani era ritenuto ispirato dallo Spirito Santo, sia per quanto riguarda il testo che per quanto riguarda la melodia. Il canto costituisce l’unica lode innalzabile alla divinità; nel quale la Parola ispirata si accorda allo spiritus, al fiato emerso dalla voce umana, alludendo alle “nozze mistiche” tra Spirito (Pneuma) e Anima (Psiche). Ecco la fusione tra parola e suono di cui è degno rappresentante fuori epoca, Michele Cantatore. La musica, allora, per i primi cristiani non era per nulla considerata un elemento accessorio, volto a conferire solennità alla liturgia, bensì come parte integrante del rito: e in questo notiamo una straordinaria somiglianza con la concezione che ha avuto della musica il Maestro: la consonanza dei suoni e dei ritmi verbali simboleggia e prepara realmente l’unione tra Spirito (divino) e Anima (umana). Possiamo quindi cogliere uno degli aspetti fondamentali dell’opera del Maestro: recuperare il senso originario ed originale del canto liturgico, non come ornamento del culto o come arte in sé, ma nel suo profondo valore mistico: il canto manifesta la “presenza sonora” di Dio; la parola sonora come simbolo dello Spirito divino, ponte teso tra l’Umano (finito e mortale) e il Divino (infinito ed immortale). Ecco allora che il canto liturgico cristiano nella sua natura profonda non è musica, ma è preghiera, e come tale, vuole essere eseguito come espressione di fede orante. Il fine di questa musica non è l’intrattenimento sociale e la gratificazione emotiva bensì un’esperienza di fede
vissuta. Perciò al cantore Michele Cantatore richiede in primo luogo la capacità di pregare in adorazione e nel silenzio interiore, nella dimenticanza del puro evento musicale. La preghiera liturgica cantata trova la sua sincerità non nel fatto che si canta ciò che si pensa, ma nel fatto che si cerca di pensare ciò che si canta: e il
Maestro evidentemente, ha realizzato questo principio in modo esemplare.
Un altro aspetto riconoscibile nell’opera di cantatore è, al pari del mondo gregoriano, la completa assenza di ogni forma di protagonismo mondano. Nell’atto compositivo egli si è ispirato spesso a materiale già presente nel repertorio sacro (formule melodiche, formule musicali, tecniche compositive, ecc.) e ha rispettato con venerazione lo stile dei singoli brani, così come facevano i compositori del canto cristiano (ancora oggi rimasti del tutto anonimo). Forse anche per questo egli non ha mai voluto pubblicare le sue opere, rimanendo in una forma di anonimato e di intimismo molto personali. Non ci si deve meravigliare, perciò, nel constatare che l’inventiva personale, caratterizzante le sue melodie, non si sia sbizzarrita nel trovare cose sempre nuove ed originali. Ecco perché alcune sue composizioni possono sembrare banali e scontate. Invece, secondo una mentalità tipicamente “gregoriana”, il vero Maestro è colui che sa coniugare la propria esperienza personale con gli
schemi tramandati dal passato.
Dicevo all’inizio che l’ambito storico di riferimento di Cantatore può essere collocato grossomodo fino al X - XI secolo, periodo in cui comincia a diffondersi la scrittura musicale sul rigo. L’invenzione del rigo musicale porterà, in breve, allo sviluppo della polifonia scritta che, man mano, diventerà sempre più complessa. Al canto cristiano i compositori faranno sempre riferimento, ma per costruire imponenti architetture musicali, con tante voci, riservate ad esecutori molto preparati. Questo tipo di musica sacra aveva come luogo esclusivo di esecuzione le grandi basiliche, le cappelle principesche, le corti, ecc. E’ chiaro quindi che, in questi contesti, la funzione della musica sacra è cambiata: non più esperienza di fede vissuta,preghiera in musica, ma sfoggio di erudizione, di competenza tecnica: una composizione era tanto più apprezzata quanto più era complessa. Inoltre era finito l’anonimato: il nome del compositore dove comparire sulla parte musicale insieme al nome del vescovo o del principe presso cui operava.
E’ evidente che egli a questo tipo di musica e di contesto sociale, non ha volutamente aderito, cercando invece di recuperare l’idea originaria di musica sacra suddetta, di qui anche l’uso del Luca Campanale termine “stile pre-polifonico”. Pur conoscendo le grandi forme polifoniche della musica sacra d’arte e lo stile di questi autori, egli ha composto invece secondo una corrente di pensiero musicale che potremmo definire popolare, meno artefatta, più vicina al sentimento religioso della gente umile e della semplice devozione popolare, sempre secondo il suo intento didattico-catechetico. Nei suoi brani infatti egli ha utilizzato tutte quelle forme musicali - come la Messa Cantilena, il Conductus polifonico, la Sacra Canzonetta, la Lauda, l’Oratorio tardo-cinquecentesco, il Corale - che all’inizio erano nate con l’intendo di ritornare a quella fusione originaria tra parola e suono, tra Spirito e anima, di cui si è parlato, e nelle quali la musica serviva ad amplificare la preghiera, per cui il testo sacro veniva sopportato da una musica appropriata per renderlo più comprensibile e favorire la preghiera e la contemplazione. Si tratta di forme musicali semplici nel loro originario pensiero compositivo - ma che poi i grandi compositori le hanno utilizzate per creare dei complessi capolavori d’arte sacra – nelle quali la polifonia presente è molto semplice: la voce superiore è sempre un po’ predominante, mentre le altre voci la sostengono, cantando in parallelo o con movimenti contrappuntistici ridotti al minimo. E’ chiaro che l’idea estetica alla base di questi brani non è quella di creare un’opera d’arte eseguibile da pochi addetti ai lavori e in modo da lasciare sbalorditi gli ascoltatori; ma al contrario, in questi brani c’è posto per tutti, chiunque potrebbe cantarli, perché le melodie sono costruite in modo tale da favorirne l’apprendimento anche di chi non conosce la musica, ma che ha voglia di pregare cantando.
E’ questa l’estetica sui generis di Michele Cantatore: comporre per far cantare tutti, non per puro diletto, ma per pregare. E sappiamo bene quanto egli ci tenesse a far cantare l’assemblea durante la celebrazione della Messa, ad esempio. Ecco allora l’utilizzo di tutte quelle forme che erano nate con questi ideali, ma che durante la storia della musica hanno cambiato funzione e concezione, e il conseguente recupero da parte sua in un’ottica devozionale, con finalità didattico-catechetiche: il canto come manifestazione della presenza divina; la musica come invito alla preghiera e alla contemplazione collettiva.

Luca Campanale